DAL DIARIO DEI PENSIERI DI ANDREW PILGRIM, TENUTO DA SE STESSO:
Bloccato. Sono bloccato. Non esce più niente dalla mia testa. Il vuoto, vuoto totale.
La cosa più assurda è che riesco a perdere ore con questo maledetto Diario, ma quando passo alle mie storie: non una parola. È una cosa incredibile, quasi mi spaventa.
Forza, Andrew, puoi farcela, concentrati sui punti fermi.
Punti fermi, punti fermi, punti fermi.
Le regole di uno scrittore: si scrive di cose di cui si ha paura o di cose che si desiderano.
Ho paura di qualcosa. E desidero qualcos’altro. Posso partire da questo. Devo partire da questo.
– … –
Niente, non è ancora sufficiente.
Seconda regola: quando non hai idee, scrivi di ciò che sai, parla della tua esperienza diretta.
E va bene.
– … All’interno dell’astronave, nella camera 3.012, Anthony Pillgrave-
Anthony Pillgrave? Andiamo! Va bene l’esperienza diretta, ma ci sono modi migliori di cambiare il mio nome. Mi serve un po’ più di sublimazione…
– All’interno dell’astronave, nella camera 3.012, Roger Frampton guardava da un piccolo oblò l’immensa profondità dell’Universo. Il viaggio spaziale non gli era costato un centesimo e in momenti come quello faticava a crederci. L’avevano scelto, tra tanti terrestri, per le sue virtuose abilità… di guerriero. –
Da scrittore a guerriero. Wow! Ora forse la sublimazione è troppa, ma tant’è…
– Roger decise di dirigersi all’esterno. Lo fece con estrema calma, nonostante sapesse bene cosa lo attendeva sul ponte. Impugnato il fucile al plasma e lo pneumo-casco, il guerriero avviò il processo di depressurizzazione. Qualche secondo, un prolungato ‘fsssssshh’ e la porta si aprì. Un rumore molto meno normale arrivò fu captato nello spazio dal sonar direzionale. Lo squarcio disumano di una gigantesca piovra assassina, intenzionata a distruggere la nave. –
Molto bene. Si scrive di cose di cui si ha paura…
– La piovra, per Roger, era poco più che ordinaria amministrazione, dopo mesi sulla missione spaziale. Il problema era che stavolta aveva preso Maline. –
…e di cose che si desiderano.
– Maline, rappresentante del Consolato dei Coluri, alieni umanoidi molto simili all’Uomo ma con capelli di materia organica… e la pelle blu. Erano arrivati sulla Terra da vent’anni, ormai, e in pace. Avevano condiviso con l’Umanità la loro profonda conoscenza scientifica. In più, davano a pochi fortunati come Roger la possibilità di viaggiare nello spazio con loro. Roger aveva vinto la ‘borsa’ come guerriero, quindi doveva combattere, ma si portavano dietro anche ingegneri, scrittori, politici umani… Erano tipi generosi, i Coluri. E imponevano una sola regola: niente accoppiamenti tra Uomini e loro. Per Roger, questo era più difficile che sconfiggere le piovre spaziali giganti. Maline era davvero bellissima. –
Forse… sto esagerando? Ma no, tanto nessuno leggerà questo schifo di storia. Per una volta che scrivo! Cambierò qualcosa dopo. Continuiamo.
– Roger lanciò un’ossi-granata verso uno dei tentacoli della bestia, il più lontano da quello che stringeva Maline. Non serviva, l’ossi-granata conteneva appena la quantità d’ossigeno per generare un’esplosione concentrata nello spazio, una deflagrazione contenuta. Ma, come si accennava, Maline era troppo bella per rischiare.
La piovra risentì della botta. Emise un altro verso inquietante. Tutti suoni che si sarebbero persi nel nulla, non fosse stato per il sonar direzionale. Roger non amava quello strumento, ma lo teneva comunque acceso: sentire il verso dei propri nemici lo caricava! –
Quanto machismo, nel descrivere il mio alter ego…
– Roger sparò una scarica verso gli occhi della grande bestia, che allentò la presa quel tanto che bastava proprio nel momento in cui l’umano sfoderava il suo pugnale laser. Lo affondò nel tentacolo che imprigionava Maline, liberandola. Un’altra scarica verso la piovra, poi il salto. Se non raggiungeva nuovamente l’astronave rischiava di vagare nello spazio fino all’esaurimento della sua scorta d’ossigeno. Ma questo non spaventava il guerriero quanto perdere Maline.
La piovra era sconfitta, in ritirata. Roger attivò i propulsori ionici, dandosi una lieve spinta. Maline, sprovvista di qualsiasi equipaggiamento, allungò una mano verso di lui, che la raggiunse. Stretta la presa delle dita, i due fluttuarono dolcemente verso il ponte. Ma non era ancora finita.
Maline non aveva più fiato in corpo. Roger, senza pensarci due volte, disattivò lo pneumo-casco dopo aver preso un bel respiro e la baciò. Recuperato l’ossigeno, i due rientrarono con calma all’interno dell’astronave. Poi si guardarono… e si scambiarono un altro bacio, meno necessario del primo, ma proprio per questo molto più importante.
Maline sorrise a Roger, guardandolo negli occhi, e per un attimo sembrò sua per sempre. –
Ok, ora ho decisamente esagerato. Meglio fare una pausa. Chiudo il documento.
DAL DIARIO DI BORDO DELL’ASTRONAVE CULTURE 2299, OTTENUTO DALLE REGISTRAZIONI DI SICUREZZA:
All’interno dell’astronave, nella camera 1.812, Andrew Pilgrim guardava da un piccolo oblò l’immensa profondità dell’Universo. Il viaggio spaziale non gli era costato un centesimo e in momenti come quello faticava a crederci. L’avevano scelto, tra tanti terrestri, per le sue virtuose abilità di scrittore.
Andrew decise di dirigersi all’esterno. Lo fece con estrema inquietudine, non aveva idea di cosa lo attendesse sul ponte. Giocherellando con la sua vecchia penna, nascosta nella tasca della tuta, si infilò lo pneumo-casco e avviò il processo di depressurizzazione. Un lungo ‘fsssssshh’ e la porta si aprì. Dallo spazio al di fuori, il solito straziante silenzio.
Sul ponte, Maline sembrava aspettare soltanto lui. Erano mesi che Andrew conosceva la diplomatica aliena, eppure ancora non riusciva a trasformarla in ordinaria amministrazione. Era davvero bellissima.
Andrew le si avvicinò, timidamente. Maline gli sorrise, guardandolo negli occhi, e per un attimo sembrò che volesse qualcosa di più da lui.
Poi si limitò a dirgli: “Dobbiamo rientrare, Andrew. Ci sta per attaccare un’altra piovra spaziale.”