Non ci sono vie di mezzo. Le si ama o le si odia. Impossibile resistere a quel loro movimento pulsante e ipnotico, alle loro forme e ai loro colori, ma difficile anche non temere il loro tocco urticante. Cosa sono davvero le meduse? Quanti possono dire di conoscerle veramente?
Le meduse sono creature gelatinose, composte quasi interamente da acqua, facenti a tutti gli effetti parte del cosiddetto plancton. Dopotutto, sono incapaci di nuotare energicamente in una direzione come fanno i pesci, e si lasciano perlopiù trasportare dalla corrente marina. Fanno parte di un ampio phylum, quello degli cnidari (Cnidaria, una volta conosciuti come celenterati). Per la precisione, le meduse “vere” e propriamente dette sono gli organismi appartenenti alla classe degli scifozoi (Scyphozoa), non per niente chiamati anche “scifomeduse”. Gli animali chiamati “cubomeduse” hanno in realtà poco in comune con gli scifozoi, e fanno parte di tutta un’altra classe (Cubozoa). Una medusa tipica è composta da una porzione “muscolosa”, spesso semisferica e capace di contrarsi, detta ombrella, e di alcuni tentacoli che si dipartono da essa. Si tratta di organismi primordiali, forniti di un sistema nervoso molto semplice, ma che hanno affinato la loro tecnica di predazione fino a partarla a un’efficienza straordinaria. I loro tentacoli sono cosparsi di microscopici organi contenenti veleno, detti nematociti (o cnidoblasti), muniti di un ciglio molto sensibile al tatto (cnidociglio). Se stimolato dal tocco con una potenziale preda, il ciglio provoca l’apertura di una capsula sottostante contenente un filamento a sua volta collegato a una sacca di veleno. Il filamento si conficca nella preda, iniettando il suddetto veleno. Ogni capsula contiene quantità minime di veleno, ma migliaia di filamenti possono iniettarne tutto sommato una quantità importante. E il tutto avviene in poche frazioni di secondo. Le prede delle meduse fanno parte anch’esse del plancton, e di solito sono microorganismi che muoiono quasi subito una volta “accalappiati” dalla medusa. Sulla nostra pelle, invece, il veleno ha “solo” un effetto più o meno urticante. Un meccanismo predatorio e difensivo niente male, poichè alcune specie possono contare su tentacoli filamentosi e sottili, praticamente trasparenti, che formano una vera e propria “rete da pesca” nell’acqua.
Solitamente le meduse non hanno effetti gravi sull’essere umano, anche perchè siamo grandi e grossi. Possono esserci problemi solo con alcune specie, o se chi viene punto è allergico o particolarmente sensibile a una componente del veleno. Di solito, il bruciore passa nel giro di qualche ora. Specie potenzialmente molto pericolose appartengono invece al phylum Cubozoa, che fortunatamente nel Mediterraneo è scarsamente rappresentato (mi viene in mente la sola Carybdea marsupialis) e conta su molti più esponenti nella zona indo-pacifica. La famigerata caravella portoghese (Physalia physalis), di cui a volte si sente tanto parlare, non è affatto una medusa, appartiene a tutt’altra classe (Hydrozoa) e non è neanche considerabile un solo animale, bensì un vero e proprio “super-organismo”, una colonia galleggiante di polipi suddivisi secondo ruoli precisi. E per “polipo” non intendo il mollusco cefalopode (che è il polpo!), bensì l’organismo-base del phylum Cnidaria. Anche la riproduzione delle meduse è quantomeno particolare, poichè molte specie presentano una fase sessuale (la fase medusoide, per l’appunto) e una fase asessuale. In quest’ultimo caso, l’animale vive come polipo sul fondale per poi scindersi in tante larve planctoniche (efire) tramite strobilazione.
Ma quali sono le specie di meduse più comuni del Mediterraneo? Oltre alla cosmopolita Aurelia aurita, la più comune è con ogni probabilità la tristemente nota Pelagia noctiluca, piccola e semi-trasparente, di colore bruno/rosato e capace di emettere bioluminescenza di notte. Queste piccole meduse invadono letteralmente a sciami le nostre coste durante l’estate, e un loro tocco è estremamente urticante. Una volta toccata, non la si scorda più! Un’altra specie che si avvista frequentemente è Cotylorhiza tuberculata, giallastra e dalla forma schiacciata. Anche se presenta tentacoli a grappolo, simili a un cespuglio multicolore (fra cui spicca il viola), è poco urticante. La specie più grande del nostro mare è senza dubbio alcuno Rhizostoma pulmo, bianco-azzurrognola con una massa di tentacoli carnosi e il bordo dell’ombrella di colore blu-violetto. Nonostante le dimensioni, però, è pressochè innocua. Innegabilmente, le meduse hanno avuto un vero e proprio boom demografico negli ultimi anni, e d’estate è diventato addirittura proibitivo farsi il bagno in certi tratti di spiaggia. Non sono stati ancora appurati con certezza i motivi di questa innaturale abbondanza, anche se un ruolo determinante potrebbe averlo giocato il sovrasfruttamento del mare da parte dell’uomo. Una pesca sconsiderata e selvaggia, soprattutto rivolta a grandi pesci pelagici predatori, potrebbe aver tolto di mezzo importanti competitori per le meduse. Il che significa più spazio per espandersi e meno pericoli di essere divorate. Altre creature che di solito pasteggiano a meduse, come le tartarughe, hanno subito un brusco calo a causa di inquinamento e morti causate dall’attività umana. Come se non bastasse, il riscaldamento del mare potrebbe (il condizionale è d’obbligo) aver giocato anch’esso un ruolo determinante. Ricordatevi: contrariamente a quanto si pensa, un mare pieno di meduse potrebbe non essere un mare “sano”. La soluzione, ad ogni modo, non è riempire i secchi di queste creature per farle sciogliere al sole, ma piuttosto iniziare seriamente a preoccuparsi dell’equilibrio ambientale.